sabato 4 aprile 2009

il Landri

Non dimenticherò mai gli anni del liceo. Non dimenticherò mai i salesiani. Mentre i miei coetanei giusti si barricavano nelle aule fingendo occupazioni perchè il lavandino perdeva, noi ci confessavamo. Mentre i miei coetanei con le treccine, tanta pace e tanto amore si autogestivano noi avevamo il coltello dalla parte della lama, non di rado infilato nel culo, perchè sono una signora. Mentre anche i cani lupo appendevano alle loro finestre le bandiere della pace, noi nell'atrio della scuola avevamo quella del vaticano. Mentre La rabbia e l'orgoglio era universalmente riconosciuto da chiunque sano di mente come una cagata pazzesca frutto di un cervello forse un tempo splendido, di certo incattivito e arcigno, noi tra le tracce dei temi avevamo sempre la possibilità di un elogio alla Fallaci e alla sua giusta causa contro i Mori. Mentre in più di mezza europa iniziavano ad essere garantiti i primi diritti alle coppie omosessuali, il nostro insegnante di italiano, un sacerdote coi calzini di cachemire, sovente ci esprimeva la propria perplessità riguardo queste unioni di gay e gheesse, dette anche soldati Jane. E non dimenticherò mai don Landri, il mio principe azzurro tra i preti, l'unico vero salvatore involontario di anime tristi e represse. Don Landri svolgeva plurime mansioni all'interno del centro salesiano don bosco del mio piissimo borgo. Girava perennemente con una cartelletta piena di tabelle di orari, professori, numeri a caso, anche targhe di automobili. Don Landri conosceva il vero, ed era lui che chiamavano gli insegnanti quando stavano male e non potevano venire a scuola. Così la mattina, appena arrivato, chiunque avesse un'interrogazione o le classi con qualche verifica, tendevano agguati a don mario landri, chiedendogli se per caso quel professore non avesse avuto un gravissimo incidente sulla cassanese, oppure una faringite fulminante, un lutto in famiglia, senza essere cattivi, il nonno. Qualche volta il Landri diceva sì, ed era festa grande. Tuttavia era vietato esagerare, capitava che perdesse la pazienza e sgattaiolasse via come un gatto, con i suoi fogli preziosi. Ma don Landri non era un misero segretario. Era, anche e soprattutto, un professore di fisica. Io non ho mai avuto l'onore, a noi del classico non riservavano certo menti dotate, per insegnare materie scientifiche. Ma giungevano voci dallo scientifico, pareva che il povero Landri eseguisse per quarti d'ora alcuni esercizi esempio in classe, ma che non gli riuscissero mai. Così prendeva il cancellino e rifaceva tutto daccapo e poi ancora e ancora. Persone maligne mi hanno riferito che per non sbagliare, ormai da anni, proponeva sempre lo stesso esercizio per argomento. Ricordo però che i geometri spesso lo apostrofavano con divertenti epiteti quali Alfred e gli chiedevano come è andata a Stoccolma don mario? Ce l'ha fatta questa volta? Non se la prenda, l'anno prossimo, l'anno prossimo, e magari se non sfonda con la fisica romane quello della pace! Lui fingeva di non capire, oppure non capiva veramente. Ma don mario non era solo un segretario speciale ed un insegnante di fisica. Don mario era pur sempre un prete, pertanto una volta alla settimana teneva la preghiera comune, prima del suono della campanella. Prima dava sempre qualche avviso: mi raccomando agli alunni che debbono prendere la corriera, la corriera parte all'una e venticinque, importante è non tardare. Noi ridevamo tutti perchè corriera ci faceva ridere, si sa che quelli sono gli anni della leggerezza d'animo ( e non di rado anche del suicidio). Quindi socchiudeva gli occhi ed annunciava: ora facciamo silenzio e sintonizziamoci col signore, nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo, amen. bzzz Landri chiama signore, rispondete se mi sentite, passo. Lui non lo sa, ma ci ha salvati in tanti. Perchè lui è un'anima buona e si capisce. Lui era paziente e ci voleva bene. Lui non aveva undici mac e i maglioni di ralph Lauren. Lui era, semplicemente, il landri.

Ho ritrovato la password

Quindi sono tornata

giovedì 11 dicembre 2008

Di scommesse abissi sassi e matasse

Ieri sera erano le sette. Tutte le sere prima o poi sono le sette, ma ieri lo erano in particolar modo. Mi sono fatta lasciare fuori dal postaccio per ritirare i due euro di stipendio mensili. Mi hanno dato dei soldi sgualciti, di quelli che lasciano gli scommettitori con la fretta. Pressochè tutti. Hanno sempre fretta e non devono andare da nessuna parte. Mai vista tanta fretta come lì. Nemmeno il lunedì mattina, nemmeno in città. Fuori di lì tutto è più o meno lento. Un supermercato lento, due bar lenti, un chiesa lenta, tutto lento. Stanno rifacendo la via di fronte e mancano i lampioni, la sera alle sei è già buio pesto, ma nessuno dice niente. Con la fretta e la schedina escono da lì e da dentro non sembra che stiano per andare in strada, sembra che si immergano in un mare scuro, proprio nelle profondità più estreme, là, dove c'è il calamaro gigante. Ieri ho capito una cosa. Dopo aver preso i soldi ho guardato le tavole con le quote per i match della champions league (dio come parlo). Così ho pensato, bè, gioco la schedina. L'ho giocata pure domenica per la serie a e non ho vinto. E non era la prima volta. Va bene: gioco da quando lavoricchio lì. Così mi sono messa al banco con la biro un po' umida di tutte le salive prima di me e ho fatto due conti. Ho scritto i risultati su un foglietto di carta e li ho porti alla mia amica, che ora è anche collega, che stava là dietro, nell'acquario secco dove trovi gli sportellisti. Stavo ancora prendendo le monete dalla tasca che già soffrivo. Ma senza capirlo, se no forse non avrei giocato. Ho salutato e sono andata via. Avevo una gran voglia di una sigaretta, così le ho cercate. Dovevo avere un pacchetto pieno e non ho trovato nulla. Le avevo perse. Mi capita spesso di perdere interi pacchetti di sigarette. Non ne fumo nemmeno la metà di quelle che compro. Io che cerco le monete in tasca io che realizzo di aver perso le sigarette, io negli abissi della via senza lampioni, e di fianco a me una specie di rullo di quelli che asfaltano le strade. A momenti mi viene un colpo. Mi assale un'angoscia senza nome che suibito me ne torno a casa, ma sono trecento metri, anche di meno, e sembrano almeno dieci volte tanto. Così penso. Alle monete che avevo in tasca, alle sigarette che avevo in tasca, e alla mia vita, tascabile anche lei. E capisco che banalmente tutti quelli hanno una gran fretta di scappare da quello che sono diventati, con le loro cento schedine nel portafoglio e le sere passate a vedere i risultati di tutto quello che potrebbe risultare. E mi viene in mente una cosa. Che per quanto ci sforziamo di essere qualcosa, in tutti i modi in cui siamo capaci, o crediamo di esserlo, una parte di noi tende sempre, inevitabilmente, a fallire. Possiamo leggere tutti i libri del mondo, guadare fiumi a cavallo, che ne so, andare lontano da soli, avere un loft in ripamonti e non sarà mai abbastanza. E quando ho strappato la schedina che, ovvio, non avevo azzeccato, ho compiuto lo stesso identico gesto di decine di stronzi che ritengo peggiori di me. E che invece sono solo più abituati all'oceano e coi lampioni o senza, tanto fa.

martedì 9 dicembre 2008

di spiagge fuori stagione

Quest'estate ero in spiaggia. Era una spiaggia sporca e schifosa, piena di bottiglie di birra vuote e carte di cornetto algida e non ero mai stata in una spiaggia così sporca e ho decretato che uno di quei posti che non dovrebbero mai esserlo sono le spiagge. Non perchè ci si cammina a piedi nudi (perchè allora le scarpe? Non pensa mai nessuno alle povere scarpe, stiamo sempre a tutelare quello che ci tocca direttamente, i piedi, e ci preoccupiamo che le scarpe non si rovinino, ma della suola ce ne sbattiamo, a parte quando si spezza il tacco), ma perchè una spiaggia è solo un po' di sabbia di fianco al mare. Non ha bisogno di essere sporca, non dovrebbe essercene motivo. Ci penserà il mare se mai a portarle qualcosa, che ne so, i legnetti levigati o i sassolini trasparenti, sporcizie poco umane pertanto non sporcizie. I sacchetti di patatine vuoti e abbandonati lì assieme al loro unto mi davano qualcosa che era molto più di un semplice disagio. Diciamo una sorta di pazzia omicida. Quest'estate in quella spiaggia avevo seriamente voglia di uccidere qualcuno, ma davanti a tutti, non di nascosto. E poi uccidermi anche io. Per rovinare la voglia di far vacanza a chi usava lo spruzzino. Pensavo a tutto questo sudando sotto il sole dell'una (ora maggiormente propizia per iniziare la propria giornata di spiaggia) e leggevo Tonio Kroger rompendomi i coglioni come poche altre volte mi era capitato nella mia vita di lettrice, quando una vocina che credevo dentro di me, ma che fortunatamente era dietro, si è fatta sempre più insistente fino a diventare una grandinata di insulti e gridolini e sbuffi e incazzature che mi hanno incupita a tal punto che mi sarei immolata da sola, senza quel premeditato omicidio che mi era venuto in mente solo qualche minuto prima. Così mi giravo e vedevo una figura bionda più magra che grassa che urlava in un cellulare più nuovo che vecchio, uno di quelli con la tv che la Littizzetto ci dice cinquanta volte al giorno chi l'avrebbe mai immaginato? E poi scrive un libro che si chiama La jolanda furiosa e che venderà un milione di coppie e chi se lo immaginava? E ci riempie di quel qualunquismo senza parte nè partito che ha rotto le palle pensa un po'. Insomma mi giro e la guardo e tutti si girano e la guardano anche i senegalesi che vendono le nike di tre anni fa e comunque lei continua e poi riattacca e allora arriva Isma. Isma è un suo amico molto gay, e del resto non è fuori posto, che le chiede non hai preso il mio asciugamano? E basta quello che è come se fosse ancora al telefono ma adesso c'è anche l'insultato e per un'ora e un quarto sono insulti e cattiverie e recriminazioni e pulisco sempre io il cesso, che Isma dice basta, non hai diritto, me ne vado e non se ne va mai. E quando lei smette le suona ancora il videotivufonino e sei ancora tu? Ma vaffanculo e quant'altro. Volevo semplicemente dire che in montagna queste cose capitano più raramente.

lunedì 8 dicembre 2008

I love Derry

Capita raramente che io rilegga dei libri. Sono fermamente convinta che ci sia un tempo per ogni lettura, uno ed uno soltanto. Come sono convinta del fatto che siano i libri a venire a cercare noi e non viceversa. Per esempio, la primavera scorsa ho letto Il rosso e il nero e so che non lo riaprirò mai più. Julien Sorel rimarrà un amico e me lo ricorderò per sempre, me lo ricorderò anche quando sarò molto vecchia e dei miei amici di ora forse mi sarò dimenticata e magari molti di loro avranno dimenticato me e la memoria non ci sarà più e quello che è stato il giorno prima sarà come se non fosse mai esistito e non ci sarà un passato più o meno lontano, ma regnerà l'esistenza onirica della vecchiaia molto avanzata, detta anche rincoglionimento. Però Julien rimarrà sempre con me, solo magari mi chiederò dov'è che l'avevo incontrato quel simpatico ragazzo? E mi illuderò di averlo conosciuto all'università, dove in realtà non ho conosciuto proprio nessuno che gli somigliasse nemmeno vagamente. E così varrà per molti altri amici che sono rimasti con me ogni sera prima di dormire senza mai infastidirmi, come amanti ideali. Tuttavia c'è un libro che rileggo, credo, ogni dicembre, ed è It di Stephen King. La sua mole spaventerebbe anche Vincenzo Monti. Inoltre non si può prorpiamente definire una lettura colta (sebbene io sostenga che King sia uno scrittore fenomenale e sicuramente la maggior parte dei miei compagni di corso storcerebbe il naso perchè a Benjamin non sarebbe piaciuto) . C'è però un motivo per cui lo rileggo, nonostante tutto, nonostante le sue mille pagine, nonostante sia un best seller, nonostante ne abbiano tratto un film imbarazzante. Questo motivo è il terrore puro che mi scatena pagina dopo pagina. Una sola lettura mi ha fatto paura quanto It, ed è Il signore delle mosche di Golding, che pure ho riletto e riletto e ogni volta mi ha fatto sempre meno effetto fino a quando ho smesso di sfogliarlo. Ora sta tra Il piccolo principe e un libro di Severgnini, la punizione più dura che potessi infliggergli. It, tutti conoscono la storia. Banalmente un pagliaccio assassino che alla fine è un ragno di merda che non spaventa nessuno (mi si perdoni lo spoiler) compare a Derry, una cittadina del Maine, ciclicamente, ogni ventisette anni e fa stragi di innocenti. Il clown Pennywise, caratterizzato da una parrucchetta arancio Santoro quando aveva deciso di tingersi, uccide i ragazzini e trascina le loro anime nelle fogne e infatti questi ogni tanto richiamano ragazzini ancora vivi e dicono ehi vuoi un palloncino? Galleggiano e It salta fuori e gnam, se li mangia. Confesso che da ragazzina mi terrorizzava. Quando l'ho letto per la prima volta, a quattordici anni, avevo talmente paura che quando lo richiudevo lo nascondevo nell'armadio di mia madre che, da adulta, sarebbe stata senz'altro immune. Crescendo questo libro non ha mai smesso di farmi paura. Crescendo ho capito che quello che voleva significare, cosa fosse quell'It, quella cosa, era tutt'altro che un clown mangiabambini. It è Derry stessa, il marciume delle città di provincia, è la noia, è la frustrazione che deriva dal vivere ai margini tra le feste di paese e le commemorazioni annuali (ogni luogo ha le sue, loro avevano una specie di festival del Canale, noi abbiamo quelle patetiche feste dell'unità dove ancora a tavola si dicono compagno passami il pane; quelle della lega non le nomino nemmeno), è un po' la morte insomma, per chi non sa andarsene. Se è come l'ho capita io, se il terrore che mi dà deriva da un sentire corretto, bè allora King è stato un vero genio. Perchè ora che cresco me ne rendo conto, mi rendo conto di quanto il mondo sia in genere piuttosto inospitale, ma di quanto la provincia sia, anzi, pericolosa. Una specie di crosta che ti rimane addosso e tu gratti gratti e non se ne va mai nemmeno quando te ne vai tu. Sempre quella crosta ti rimane attaccata e quando riesci a levarla del tutto sotto ti rimane bianco e lì non si abbronza nemmeno mai. E così capisco come la vera mostruosità sia non cambiare mai niente e crepare dove si è nati credendo, tutto sommato, di vivere un'esistenza soddisfacente. Questo discorso credo valga anche per chi nasca e cresca in una metropoli. Ad un certo punto ci si accorge che c'è sempre qualcuno più cittadino di noi e che purtroppo trasferirsi non basta mai. Bisogna andare e tornare e non stare mai fermi, scavalcare i tombini senza guardarci dentro, allontanarsi fino a dove ci si può spingere e imparare a convivere con noi stessi, che alla fine siamo sempre i mostri peggiori. A presto

Intro

Ho aperto diversi blog, da quando so dell'esistenza dei blog. Mi ricordo ancora tutti i nomi. Ora non ve li sto ad elencare perchè sono noiosi. Comunque uno si chiamava portafinestra, ed è quello che è durato di meno, circa un mese. Ho perso la password e sono stata troppo pigra per recuperarla. In fondo bastava un click. Ci sono molte azioni quasi del tutti insignificanti che si travestono da imprese impossibili. Questa è la vita del pigro, prenderne coscienza e comunque non fare nulla per cambiare la situazione. Quel click sarebbe costata una tale fatica che ancora me la ricorderei. Sono pigra, ma ho un'ottima memoria. Quando ho aperto il mio primo blog frequentavo l'ultimo anno del liceo. Ho ben pensato di distrarmi mentre preparavo la maturità. Mi sembrava qualcosa di straordinario, forse perchè ancora non era una pratica troppo diffusa e poi perchè trovavo sbalorditiva l'idea di occupare un piccolo spazio in un mondo a me totalmente ignoto, la rete. Ho sempre avuto una grande esigenza di occupare luoghi sconosciuti senza uno scopo. Quindi abbandonarli. Ma i blog si usano ancora? Non ne ho mai letti molti, a parte il mio. Questa volta mi sono ripromessa di farlo. Così stamattina ho navigato qua e là e ho visto che è pieno di gente che si butta nel vuoto come faccio io. Molti come me hanno blog graficamente orribili, molti altri bellissimi, molti altri un po' e un po'. Ma in tutti c'è la stessa idea che prende forme di diverse, quella di raccontarsi e raccontare, recensire ed annoiare, far sapere che, nonostante tutto, da qualche parte si esiste. Perchè forse lo scopo di queste pagine è proprio quello di dire ehi, io ci sono, anche se non mi vedi.
Spero vi divertirete un po'.
Saluti a chi mi legge